Pubblicato recentemente, il XII Rapporto sulla Formazione continua (2010-2011) dell’Isfol fa luce sull’andamento della formazione professionale nel nostro Paese. E i dati non sono dei più confortanti.
Sia che si parli di formazione personale o, piuttosto, aziendale, sembra che il sistema Italia non stia investendo nella specializzazione e nell’aggiornamento delle competenze, soprattutto con riferimento alla fascia più debole della popolazione.
Mentre per dirigenti, quadri e per le posizioni più stabili nelle aziende, le occasioni di partecipazione a cicli formativi sono, nella media, più frequenti, i dipendenti flessibili sembrano essere vincolati a formazione per obblighi normativi o alla formazione aziendale prevista dall’iter d’inserimento.
Il dato cala drasticamente se, dagli occupati, lo sguardo si volge verso quella consistente fetta di popolazione italiana disoccupata o inoccupata.
L’analisi dei dati Isfol pubblicati nel XII Rapporto sulla Formazione continua emerge un elemento evidente quanto focale: le iniziative autonome di formazione e aggiornamento sono subordinate a una scolarità già elevata. Un grado di formazione avanzato, infatti, fornisce gli strumenti di auto-orientamento e di analisi utili per anticipare le richieste e le evoluzioni di un mercato del lavoro in sofferenza. D’altra parte, il proseguimento di questo ragionamento è ancora più evidente: i disoccupati con bassa scolarizzazione, se non con grande sforzo, sono destinati a rimanere tali.
Ritornando allo scarso investimento aziendale nella formazione, c’è un’altra implicazione sociale che emerge: l’eventuale e frequente licenziamento di lavoratori over-40 ripropone sul mercato del lavoro professionisti poco appetibili poiché non aggiornati. Spesso, inoltre, questi lavoratori possono offrire un’esperienza poco competitiva e fossilizzata sull’operatività della mansione in una specifica azienda.
I due aspetti che risultano da queste considerazioni fanno comprendere appieno l’importanza della formazione continua e della formazione aziendale in tempi di crisi economica: una scelta lungimirante per i lavoratori e un elemento di responsabilità sociale per le aziende.
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