Il rumore di fondo del web è come il ronzio (buzz) di un vespaio. Capita che, stimolando questo vespaio nei punti giusti, il ronzio s’intensifichi fino a diventare un vero e proprio rumore assordante. Al di là della metafora, questo è proprio ciò che accade con un’azione di buzz marketing ben congeniata.
Si tratta del buon, vecchio passaparola: la fortuna e la condanna dei brand che funzionano più o meno bene.
Con la diffusione delle piattaforme web 2.0, il marketing ha provato (e continua a farlo) a influenzare la direzione di questo passaparola mediatico. Una strategia di marketing non convenzionale che richiede competenza e discrezione, per evitare disastrosi effetti boomerang.
Nel 1996 Bill Clinton disse: “Quando entrai in carica, solo i fisici nucleari avevano sentito parlare di qualcosa chiamata Worldwide Web… Ora, anche il mio gatto ha la sua pagina internet”. Il marketing non ha faticato a spostarsi lì dove oggi la gente passa la maggior parte del tempo e a comprendere le vaste potenzialità di crescita fornite dal web.
L’importanza e l’imponenza del fenomeno buzz è percepibile da ciascuno di noi.
Basterà effettuare un semplice esperimento: contiamo le volte in cui veniamo in contatto con il riferimento a un brand durante l’arco di una settimana, utilizzando normalmente il web in contesti non commerciali (navigazione non pubblicitaria, uso di social media, e-mail). Anche in una semplice comunicazione tra amici, il buzz marketing farà, più o meno attivamente, il proprio ruolo.
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