L’e-commerce è uno dei pochi settori che vanta una crescita “miracolosa”, nonostante il periodo di prolungata crisi che il nostro paese, come l’Europa, sta passando. A osservare lo stato dell’e-commerce c’è da rimanere stupiti di fronte a certi numeri a doppie cifre e sei zeri che statistiche e studi di settore tirano fuori periodicamente.
Se nel 2010 l’e-commerce era cresciuto già di diciassette punti percentuali rispetto all’anno precedente, nel 2011, come rileva l’Osservatorio B2c del Politecnico di Milano, ha fatto un ulteriore salto in avanti del 20% arrivando e superando gli otto miliardi di euro. A questi vanno aggiunti altri 1,2 miliardi degli web shopper italiani, arrivando così alla notevolissima cifra di 9,2 miliardi di euro. Possiamo dire che lo stato del commercio elettronico italiano è molto buono. Purtroppo non abbastanza.
Se è vero che sono cresciuti gli utenti attivi online (a maggio 2012 registravano un +11% rispetto un anno prima) e sia prevista un’ulteriore crescita delle vendite dai siti italiani per quest’anno (+18% ossia 9,5 miliardi di euro), lo stato dell’e-commerce nel nostro paese risulta particolarmente in ritardo rispetto agli altri paesi europei. Secondo l’Eurostat, se in Europa il 65% dei cittadini online ha effettuato un acquisto in Rete, in Italia la media arriva a malapena al 35%. In Inghilterra le vendite online sono state di otto volte superiori a quelle dell’Italia mentre i cugini francesi hanno acquistato quattro volte tanto quanto abbiamo fatto noi.
Grave, purtroppo, è il ritardo sotto tanti punti di vista: non solo infrastrutturale (la tanto citata banda larga ne è un esempio), ma anche dal punto di vista dell’alfabetizzazione informatica e della spinta agli investimenti, tanto privati quanto pubblici, a favore delle piccole e medie imprese, tanto recalcitranti e, spesso, diffidenti nei confronti di questo metodo di vendita.
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