Cosa può essere fatto, nell’ambito della gestione delle risorse umane, per la riduzione dello Stress Lavoro Correlato? Una volta effettuata la valutazione obbligatoria richiesta dal Ministero del lavoro con la circolare del 18/11/2010, le aziende dovranno porre in atto politiche atte a ridurre tale rischio per la salute dei lavoratori.
Gli esperti hanno individuato alcune tra le buone pratiche più diffuse per aiutare gli addetti alla gestione delle risorse umane a scongiurare i casi più gravi di Stress Lavoro Correlato.
Si parla di azioni complesse che possono andare dall’ergonomia della postazione lavorativa fino alla revisione della struttura operativa aziendale. Nel caso degli interventi di prevenzione secondaria, invece, si dovrà agire nel campo della formazione e counselling, ma anche nella pianificazione di un sistema di promozioni e gratificazioni adeguate all’impegno del lavoratore.
Ovviamente, il primo passo da compiere sarà quello di identificare il rischio specifico legato al tipo di lavoro che si svolge in azienda e ai vari ruoli professionali in essa impiegati.
In secondo luogo si passerà alla riduzione dei fattori detti stressor (causanti stress) tramite la cosiddetta prevenzione primaria. In questo ambito, gli specialisti della gestione delle risorse umane potranno far leva su alcuni strumenti specifici che riguardano la partecipazione ai processi decisionali, la riduzione dei conflitti, il miglioramento delle condizioni fisiche in cui l’impiego viene svolto ed equilibrare il carico di lavoro.
Ultimo intervento di riduzione dello Stress Lavoro Correlato sarà, come si è detto, quello della prevenzione secondaria, più orientata al singolo e volta a motivare il lavoratore e a migliorarne l’approccio psicologico al lavoro.
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Lo stress lavoro correlato è una patologia derivante da situazioni e/o ambienti lavorativi stressanti per i lavoratori. Con l’approvazione del Testo Unico 81 del 2008 e del decreto correttivo 106 del 2009 è diventato materia della sicurezza sul lavoro e deve essere sottoposto a valutazione in quanto rischio tanto per i dipendenti quanto per l’azienda.
I sintomi più generici dello stress lavoro correlato possono essere stanchezza, diffuso malessere psicofisico, dolori muscolari, iperattività, depressione, ansia, irritabilità, disturbi all’apparato digerente, problemi a esprimersi correttamente. Però tali sintomi non sono facilmente circoscrivibili perché potrebbero essere dovuti anche a patologie non strettamente collegabili con l’attività lavorativa.
Le fonti di tale stress sono ascrivibili in due categorie: quella inerente il contesto lavorativo e quella inerente, invece, le attività di lavoro. Entrambi i sintomi sono i medesimi.
Gli effetti più frequenti dello stress lavoro correlato sono errori di disattenzione, infortuni, assenteismo, problemi disciplinari. E tutti hanno delle ricadute in ambito lavorativo che si ripercuotono negativamente sulla produttività dell’azienda.
La valutazione dei rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori deve tener conto anche dello stress lavoro correlato (SLC). È quanto definito da un Accordo quadro europeo e recepito dalla nostra normativa. L’ultima indicazione sulla questione da parte del Ministero del Lavoro (circolare ministeriale del 18 novembre 2010) è stata espressamente dedicata alle “Indicazioni necessarie per la valutazione del rischio stress lavoro-correlato”.
Con il 2011, per le imprese pubbliche e private entra in vigore l’obbligo di effettuare la Valutazione del Rischio da stress secondo la metodologia dettata dal Ministero. Ciò significa che, anche gli imprenditori più lungimiranti che abbiano già effettuato tale tipo di valutazione dovranno aggiornarla secondo le nuove procedure e indicazioni.
La grande innovazione apportata da questa normativa permette di salvaguardare la salute psico-fisica dei lavoratori da un fenomeno che, solo negli ultimi anni, è stato riconosciuto quale fattore imputabile di un’oggettività che può essere misurata.
Le modalità di questa misurazione e la novità introdotte dalla normativa sulla Valutazione del Rischio da Stress Lavoro-Correlato hanno creato qualche disagio ai responsabili aziendali che si trovano ad affrontare la valutazione secondo le nuove indicazioni dalla Commissione Consultiva.
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L’organizzazione del lavoro è profondamente mutata rispetto al passato. Complice la rivoluzione tecnologica e una prolungata crisi economica che non lascia scampo, lo scenario e l’approccio al mondo del lavoro hanno subito modifiche strutturali complesse che si traducono oggi in frequenti casi di stress da lavoro riscontrati su un numero sempre maggiore di individui.
Una delle cause meno conosciute ma più diffuse di stress da lavoro è la sindrome del burnout, patologia che porta gradualmente la persona verso l’esaurimento emotivo e il progressivo deterioramento di valori, volontà e dignità ma anche a una spersonalizzazione e perdita di interesse nei confronti dell’attività che si svolge.
La sindrome del burnout è particolarmente diffusa nei paesi occidentali, dove gli ambienti lavorativi si caratterizzano per ritmi frenetici e le costanti attese da soddisfare.
Nel 1975 la psichiatra americana Maslach parlava di questo disturbo comportamentale in riferimento a professionisti impegnati nel dare aiuto agli altri, tra cui medici, psicologi, insegnanti. Nel tempo però il bacino di individui considerati maggiormente esposti allo sviluppo della patologia si è allargato anche a tutte quelle professioni che implicano un’attività relazionale spiccata.
È inoltre importante sottolineare che la probabilità di sviluppare la sindrome del burnout aumenta nei casi in cui si evidenzia una forte discrepanza tra la natura della persona e quella del contesto lavorativo in cui si trova o a seguito del mancato raggiungimento di obiettivi professionali (spesso troppo ambiziosi) prefissati. Situazioni del genere determinano una progressiva perdita di interesse nei confronti di un lavoro considerato inizialmente stimolante, incrementano la probabilità di sviluppare un atteggiamento cinico ed inefficiente.
I professionisti della gestione del personale possono cercare di prevenire l’insorgere del disturbo tra i propri dipendenti e collaboratori assumendo dei comportamenti positivi tra cui l’interessarsi, oltre che alle performance, anche al lavoratore stesso, favorendo il suo adattamento all’ambiente di lavoro, coinvolgendolo attivamente, spronandolo e sostenendolo.
Dalla Corte di Cassazione, sezione Lavoro, arriva la sentenza 18211 che sancisce la risarcibilità del danno da stress per lavoro eccessivo. Un orientamento normativo che vale anche nel caso in cui il lavoratore non abbia mai rivendicato un risarcimento nel corso proprio periodo in azienda e anche qualora il lavoratore venga espulso.
La sentenza sottolinea che l’orario di lavoro ha limiti fissati dalle norme sul diritto alla salute del lavoratore e che la violazione di tali norme, violazione valutata secondo il principio della ragionevolezza, determina danno biologico.
Nel caso concreto al quale fa riferimento questa sentenza della Corte di Cassazione, lo stress da lavoro eccessivo è stato valutato quale “concausa della sindrome nevrotica ansiosa” riscontrata nel lavoratore.
La condizione per il risarcimento per stress da lavoro eccessivo si verifica, dunque, nel caso in cui dalla condizione lavorativa portata oltre i limiti fissati per ciò che riguarda l’orario lavorativo, derivi un danno riscontrabile alla salute del lavoratore. La sentenza 18211 della Corte Suprema segue una sentenza del 2011 (la n° 5437 dell’8 marzo 2011) che riconosceva il danno biologico nel caso di eccessivo ricorso, da parte dell’azienda, alle ore di straordinario.
Ci sono le condizioni per il risarcimento per stress da lavoro eccessivo quando la condizione lavorativa supera i limiti fissati dall’orario di lavoro e da ciò derivi un danno alla salute del lavoratore. Al riguardo, negli anni si sono succedute diverse sentenze.
Come queste 3, emanate dalla Quarta sezione lavoro della Corte di cassazione, che possono essere considerate le più significative in materia.
“Poiché nella nozione di causa violenta rientra anche lo stress emotivo ricollegabile al lavoro svolto, si deve ritenere infortunio sul lavoro quello che ha provocato la morte di un soggetto con cardiopatia preesistente per effetto dell’usura e dello stress”.
Questa è una delle sentenze più importanti per quanto riguarda il risarcimento per stress da lavoro eccessivo: al di là del caso specifico (l’infarto), stabilisce che c’è una precisa relazione tra lo stress patito sul luogo di lavoro e determinate conseguenze che si originano da tale stress.
“Un infarto, anche in soggetto già sofferente di cuore ed iperteso, può costituire infortunio sul lavoro, ma occorre la prova che tale evento, normalmente ascrivibile a causa naturale, sia stato causato o concausato da uno sforzo, ovvero dalla necessità di vincere una resistenza inconsueta o un accadimento verificatosi nell’ambito del lavoro il quale abbia richiesto un impegno eccedente la normale adattabilità e tollerabilità”.
La seconda sentenza si ricollega alla prima non soltanto per il fatto specifico ma perché chiarisce un punto fondamentale: il collegamento tra lo stress subito sul luogo di lavoro e un infortunio (in senso generale) deve essere provato in maniera incontrovertibile.
“Se pure al datore di lavoro faccia capo la facoltà di predisporre […] norme interne di regolamentazione attinenti all’organizzazione del lavoro nell’impresa”, occorre che “il suo esercizio sia effettivamente funzionale alle esigenze – tecniche, organizzative e produttive – dell’azienda, e comunque non si traduca in una condotta che possa risultare pregiudizievole per l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori d’opera”.
La terza sentenza stabilisce un preciso obbligo per il datore di lavoro: pur nella facoltà di organizzare spazi e tempi di lavoro in base alle esigenze dell’azienda, questo non deve ledere la salute psicofisica dei suoi dipendenti.
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