Google è sicuramente una delle migliori aziende al mondo per cui lavorare. Lo affermano numerose indagini, come quelle annuali di Glassdoor, ma basta chiedere a un dipendente del colosso di Mountain View il proprio grado di soddisfazione, complici soprattutto i numerosi benefit e le innovative strategie di HR Retention.
E le richieste di assunzione sono tantissime (oltre un milione l’anno secondo i dati forniti dal Wall Street Journal), ma di queste, in media soltanto una su 130 va a buon fine. E i processi di recruitment di Google sono tanto celebri quanto complicati (ma efficienti, ovviamente): l’innovazione di Google coinvolge infatti anche i metodi di assunzione, che vanno oltre il tradizionale colloquio, e che non tengono praticamente conto del curriculum del candidato.
Nel processo di selezione, al candidato vengono formulate domande del tipo: “Considera l’ipotesi in cui tu venga ridotto alla grandezza di una moneta da cinque centesimi. Vieni gettato in un frullatore. La tua massa è stata ridotta, quindi la densità è quella tua solita. Le lame inizieranno a muoversi dopo 60 secondi. Che cosa fai?”.
Domanda che mette in difficoltà il potenziale dipendente, ma che serve a testare la sua creatività e la sua abilità nel pensare fuori dagli schemi. Perché agli esaminatori di Google non importano né le esperienze precedenti né tantomeno i master conseguiti e in generale ciò che viene scritto nel CV, ma puntano al problem solving innovativo, all’umiltà intellettuale, e più che alle conoscenze già acquisite all’abilità e alla velocità con cui il candidato apprende nuove cose.
Ma i processi di recruitment di Google vanno ben oltre: lo scorso agosto, un programmatore di nome Max Rosett è stato assunto dal colosso informatico. Come? Utilizzando il motore di ricerca. All’esperto era stato infatti commissionato un programma per conto di un’agenzia immobiliare, ma non riusciva a comprendere parte del linguaggio di programmazione che avrebbe dovuto usare.
“Python lambda function list comprehension”, gli è bastato digitare queste parole sul motore di ricerca per ritrovarsi nella pagina con l’elenco dei link un’insolita scritta da parte di Google: “Parli la nostra lingua. Sei pronto per una sfida?”. Pressando sul link si accedeva a foo.bar, una piattaforma di Google in cui vengono proposti dei test di programmazione, spesso utilizzati per valutare la preparazione dei candidati.
Circa 3 mesi dopo aver ultimato il test, Max è stato contattato dal reparto risorse umane di Google ed è stato assunto (dopo un colloquio, ovviamente).
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