In cosa consiste la professione di Counseling? Come si fa a diventare Couselor? Lo chiariamo con un’intervista al Dr. Pietro Trentin, Counselor professionista abilitato dall’Institute for Life Coping Skills (U.S.A.) e dalla S.I.A.B. (Società Italiana di Analisi Bioenergetica), membro del Direttivo del CNCP (Coordinamento Nazionale Counsellor Professionisti) e accreditato dall’ISFOL come Consigliere d’Orientamento e come Formatore ed Esperto nella progettazione formativa e curricolare.
1. Negli Stati Uniti la professione del Counselor è stata riconosciuta dalla legge già negli anni ’50. L’ordinamento Italiano, invece, non specifica i requisiti minimi per esercitarla e non esiste alcuna normativa di riferimento. Secondo lei, quale è il corretto percorso professionale per esercitare?
Nei paesi anglosassoni, il Counseling è una disciplina che si è consolidata già nella prima metà del 1900, ponendo le proprie basi scientifiche dapprima come filiazione diretta di un nuovo approccio di sostegno psicologico, successivamente come autonomo percorso d’intervento bio-psico-sociale.
Frank Parsons, nel 1906 offrì una prima fondamentale descrizione dei tre passi[1] necessari per fornire consulenza non psicologica alle persone in cerca di sostegno rispetto al problema dell’occupazione. Nel 1913 a Boston venne fondato il primo Centro di Counseling. Ma è soprattutto dopo la prima guerra mondiale che si diffonde il Counseling come strumento di supporto alle persone che sperimentano difficoltà di vario tipo nella loro esistenza. Il Counseling si sviluppa pertanto già in quegli anni come metodo per far fronte a problematiche esistenziali (Life Coping Skills).
Sono Rollo May e Carl R. Rogers, esponenti di punta della Psicologia Umanistica, a connotare in maniera precisa il Counseling quale strumento differenziato dalla psicoterapia, sia dal punto di vista epistemologico, sia da quello operativo[2].
In Europa attualmente tutti i Paesi[3] riconoscono la professione del Counselor al di fuori del contesto psicoterapico, ma solo l’Austria (Cfr. Regolamento in materia di professioni e mestieri 119/1994 – Catalogo delle attività relative alla professione di consulente di vita e sociale e la Legge Federale n. 111 del 2002, che ufficializza il precedente Regolamento del 1994) ne regolamenta ufficialmente la formazione, l’abilitazione e la deontologia professionale. In tutti gli altri Paesi, Italia inclusa, la professione del Counselor è riconosciuta, ma non regolamentata. La regolamentazione è affidata alle Scuole di Counseling e, soprattutto, alle Associazioni di categoria cui queste sono affiliate. Le tre principali sono: Si.Co. (Società italiana Counseling), il CNCP (Coordinamento Nazionale Counsellor Professionisti), il Re.I.Co. (Registro Italiano Counselor). Recentemente si sono aggiunte l’A.I.Co. (Ass. Italiana Counseling) e l’AssoCounseling. Tutte queste associazioni hanno presentato richiesta di regolamentazione allo Stato Italiano e il processo è in corso (istanza al CNEL, parere del Ministero Grazia e Giustizia, parere del Ministero della Salute, ritorno dell’istruttoria al CNEL).
Pertanto, fatta salva questa situazione di ‘empasse’ istituzionale, l’esercizio della professione di Counselor rimane terreno di confronto, e a volte di scontro, rispetto al libero esercizio della sua missione professionale. Nel settore Pubblico, per esempio nelle ASL, pur essendo richiesta la figura di counselor (Vedi richieste di sostegno ai malati terminali, o alle persone disabili e loro famigliari), fintantoché la professione non viene regolamentata ufficialmente, le Aziende ospedaliere non possono assumere counselor, ma solo psicologi.
Privatamente, un Counselor può esercitare la sua professione, così come può farlo un Project Manager, un massaggiatore Shiatzu o un Interprete/traduttore, figure professionali analogamente non regolamentate dalla legge italiana, ma riconosciute dalla società e dalle imprese.
2. Molto spesso il counseling viene confuso con la psicologia. Quali sono le differenze tra questi due ambiti? E quali invece i punti in comune?
Il Counseling nasce dalla psicologia, come abbiamo visto, e pertanto conserva alcuni tratti di comune appartenenza quali: la relazione di sostegno ad una persona, la finalità di ‘empowerment’ del processo di aiuto, il codice deontologico. Si differenzia però in altri aspetti fondamentali; vediamo i principali:
3. Quali sono le competenze e le caratteristiche che dovrebbe avere un buon counselor?
Innanzitutto una storia personale ricca e consapevole. Il piano della consapevolezza esistenziale è fondamentale per un buon counselor. Dopodiché sono rilevanti le seguenti qualità:
4. In quali casi sarebbe opportuno (se non proprio necessario) avvalersi dell’intervento di un counselor? Con che vantaggi per le aziende?
Il Counselor è utile quando un lavoratore non riesce da solo a trovare la soluzione per un problema che gli provoca sofferenza, difficoltà, ansia. Naturalmente, lo ripeto, solo se si tratta di una criticità identificabile in comportamenti, situazioni, emozioni, non configurabile in tratti di personalità o disagi esistenziali profondi. Per esempio:
In alcuni casi, se il tema della criticità è condiviso da un gruppo di lavoratori, si può attivare un counseling di gruppo, con un Gruppo a Tema su quell’argomento. Il gruppo in questo caso non deve superare le 12 persone.
Risulta evidente che il vantaggio per le aziende risiede nel fatto di avere dei collaboratori più sereni, più concentrati, più efficaci quindi nello svolgimento del loro lavoro. Oltre al maggior benessere dei lavoratori coinvolti nel percorso di counseling, tutto il clima aziendale riceve un contributo positivo.
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