Il gender pay gap, ovvero il divario salariale tra uomini e donne, continua a rappresentare una sfida significativa nel mercato del lavoro italiano. Sebbene negli ultimi anni siano stati fatti progressi in termini di normative e iniziative aziendali volte a ridurre questa disparità, i dati mostrano come il fenomeno sia ancora lontano dall’essere risolto. Le differenze retributive influiscono sulla crescita professionale delle donne, sulla loro indipendenza economica e, di conseguenza, su un equilibrio sociale ed economico più ampio.
Ma a che punto siamo realmente in Italia? Quali sono le cause strutturali che ancora ostacolano una parità salariale concreta? E soprattutto, quali strategie stanno adottando le aziende e le istituzioni per colmare questo divario?
Secondo i dati più recenti forniti dall’INPS e dall’Istat, le donne in Italia percepiscono in media una retribuzione inferiore del 20% rispetto ai colleghi uomini (fonte: Sole24Ore). Questo divario si amplia nelle posizioni dirigenziali, dove solo il 21% dei ruoli di vertice è ricoperto da donne, e si ripercuote anche sugli assegni pensionistici, con le lavoratrici che ricevono importi sensibilmente inferiori rispetto agli uomini.
Un altro indicatore significativo è il gender overall earnings gap, che misura la differenza tra il salario annuale medio percepito da uomini e donne. L’Italia è tra i Paesi europei con uno dei divari più elevati, attestandosi al 43% (fonte: LHH). Questa percentuale riflette non solo le differenze salariali dirette, ma anche le minori opportunità di carriera, la maggiore incidenza del lavoro part-time tra le donne e le interruzioni di carriera dovute alle responsabilità familiari.
Il gender pay gap non è frutto di una singola causa, ma di una combinazione di fattori che incidono sul percorso professionale delle donne. Una delle principali ragioni è la segregazione occupazionale: le donne sono spesso impiegate in settori tradizionalmente meno remunerativi, come l’istruzione, la sanità e i servizi alla persona, mentre gli uomini dominano settori ad alto valore aggiunto, come la tecnologia, la LHH e l’ingegneria.
Un altro elemento determinante è la minore presenza femminile nei ruoli apicali. Nonostante le donne rappresentino una quota significativa della forza lavoro laureata, il cosiddetto “soffitto di cristallo” continua a ostacolare la loro ascesa ai livelli dirigenziali. Questo fenomeno è spesso alimentato da stereotipi di genere e da una cultura aziendale ancora troppo poco inclusiva.
Le interruzioni di carriera legate alla maternità e alla cura dei figli rappresentano un altro ostacolo. In Italia, la conciliazione tra vita lavorativa e personale, soprattutto in ambito familiare, è ancora un problema rilevante, con un’offerta limitata di servizi per l’infanzia e una ripartizione diseguale dei carichi domestici. Questo spinge molte donne a scegliere il part-time o a ridurre il proprio impegno lavorativo, con conseguenze dirette sulla loro crescita professionale e sulle retribuzioni.
Negli ultimi anni, il governo italiano ha introdotto diverse misure per affrontare il gender pay gap e promuovere una maggiore equità retributiva. Una delle iniziative più rilevanti è la certificazione della parità di genere, introdotta dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) e regolamentata dalla legge n. 162 del 2021. Questo strumento consente alle aziende di dimostrare il loro impegno nella riduzione delle disuguaglianze di genere attraverso politiche e pratiche concrete.
Le imprese che ottengono questa certificazione possono accedere a incentivi fiscali e contributivi, oltre a migliorare la propria reputazione sul mercato. Tuttavia, il numero di aziende che hanno aderito all’iniziativa è ancora limitato e resta fondamentale un maggiore coinvolgimento del settore privato. Parallelamente, il governo ha promosso la trasparenza retributiva attraverso l’obbligo per le aziende di fornire report dettagliati sulle differenze salariali tra uomini e donne. Si tratta di un passo importante per individuare le aree critiche e intervenire in modo mirato.
Molte aziende italiane stanno adottando strategie per ridurre il gender pay gap e promuovere una cultura aziendale più equa. La certificazione della parità di genere è sempre più riconosciuta come un valore aggiunto, sia per attrarre talenti sia per migliorare l’immagine aziendale.
Tra le misure più efficaci adottate dalle imprese ci sono la revisione periodica delle politiche salariali per identificare e correggere eventuali disparità, l’implementazione di programmi di mentoring e leadership al femminile, e l’introduzione di piani di welfare aziendale che favoriscano la conciliazione tra vita lavorativa e privata.
Un altro aspetto chiave è la sensibilizzazione e formazione del management su temi legati alla diversità e all’inclusione. Molte aziende stanno investendo in percorsi formativi mirati a superare i pregiudizi di genere e a creare ambienti di lavoro più equi.
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Ottenere la certificazione della parità di genere rappresenta un’opportunità concreta per le aziende che vogliono distinguersi per il loro impegno nella riduzione del divario salariale. Inoltre, per chi desidera sviluppare competenze nel settore delle risorse umane e contribuire attivamente alla creazione di ambienti di lavoro più sostenibili, GEMA mette a disposizione un’ampia gamma di corsi di formazione nel settore HR.
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