La legge 92/2012, ossia la riforma del lavoro realizzata e fortemente sostenuta dal ministro Fornero, ha apportato una serie di modifiche, più o meno profonde, a diverse tipologie di contratti tra cui quello a termine, l’apprendistato, il lavoro intermittente e quello a progetto. Parliamo di quanto e cosa cambia per quanto concerne il lavoro a termine.
Particolarmente flessibili per natura, i contratti a termine solitamente vengono sufficientemente incontro alle esigenze delle imprese dato che, una volta scaduto il termine, nulla obbliga a prorogare il rapporto di lavoro. Fino alla riforma del lavoro, più nota come riforma Fornero, la legge di riferimento era il d.lgs 368/2001 che prevedeva un’unica clausola generale: il contratto a termine era ammesso solo nel caso di esigenze tecniche, produttive, organizzative e sostitutive.
Le suddette esigenze dovevano essere chiaramente indicate dal datore di lavoro all’interno dei contratti a termine e rispondere a requisiti di oggettività.
La riforma del lavoro 92/2012 ha introdotto non poche modifiche al d.lgs 368/2001. Infatti non è necessaria alcuna clausola generale in caso di contratti a termine di durata inferiore a un anno o di contratto collettivo per cui l’assunzione è legata a specifici processi produttivi.
Inoltre, i contratti a termine possono essere prorogati solo una volta e possono avere una durata massima di tre anni. Il rapporto di lavoro può continuare per 20 o 30 giorni senza trasformarsi in indeterminato nel caso in cui sia necessario un certo tempo per concludere l’attività lavorativa prevista, ma non terminata entro la regolare scadenza del contratto. In questo caso, sempre secondo la citata riforma del lavoro, il datore dovrà sborsare il 20% in più fino al decimo giorno e il 40% fino al ventesimo o trentesimo.
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