Dallo scorso marzo è entrato in vigore il Decreto legislativo n. 23 del 4 marzo 2015 nell’ambito del Jobs Act con cui vengono recate disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti. Un’importante svolta, i cui effetti mirano alla riduzione del precariato, favorendo l’assunzione con contratti a tempo indeterminato da parte delle aziende.
Più nel dettaglio, vediamo come funziona il contratto a tutele crescenti e quali sono i cambiamenti apportati.
Da premettere che l’applicazione del decreto è riservata esclusivamente ai lavoratori assunti a tempo indeterminato dal 7 marzo 2015, ai lavoratori che dal 7 marzo 2015 hanno avuto trasformato il contratto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato, e agli apprendistati che sono stati qualificati dal 7 marzo 2015.
Con l’assunzione con un contratto con tutele crescenti l’articolo 18 viene fondamentalmente rottamato, ma al contempo vengono garantite a tutti i lavoratori le ferie, le malattie e l’accesso all’indennità di disoccupazione.
Il contratto a tempo determinato è stato reso più sfavorevole, in quanto ai datori di lavoro non spetterebbe alcun sgravio fiscale sul costo del lavoro. Inoltre, le imprese possono assumere massimo per 3 anni un lavoratore senza vincoli di destabilizzazione, al termine dei quali sono costretti ad assumerlo a tempo indeterminato se si vuole continuare la collaborazione.
Infine vengono eliminati i tipi di contratto atipici, e dunque quelli a progetto o collaborazione, a intermittenza o a chiamata. Chi vuole assumere può farlo soltanto tramite un contratto a tempo determinato o indeterminato a tutele crescenti.
L’entrata in vigore del decreto stabilisce anche una nuova disciplina dei licenziamenti individuali e collettivi, valida, così come per le assunzioni, soltanto per i lavoratori assunti in seguito all’entrata in vigore. Per quelli assunti precedentemente valgono le norme precedenti.
Nel caso di licenziamenti discriminatori e nulli intimati in forma orale, rimane la reintegrazione nel posto di lavoro. Stessa situazione nel caso di licenziamenti disciplinari, ma soltanto nel caso in cui venga accertata l’”insussistenza del fatto materiale contestato”.
Entra in vigore per i nuovi licenziamenti la regola del risarcimento in misura, cioè di due mensilità per ogni anno di anzianità di servizio, con un minimo di 4 mesi e un massimo di 24. Inoltre viene introdotta la conciliazione facoltativa incentivata: in caso di licenziamento, per evitare di andare in giudizio, il datore di lavoro può offrire una somma di denaro esente da imposizione fiscale e contributiva equivalente a un mese per ogni anno di servizio, con un minimo di 2 mesi e un massimo di 28.
Nel caso di licenziamenti collettivi invece, il decreto stabilisce che in caso di violazione delle procedure (art. 4, comma 12, legge 223/1991) o dei criteri di scelta (art. 5, comma 1), si applica sempre il regime dell’indennizzo monetario che vale per gli individuali (minimo 4 mesi, massimo 24).
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